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Se la nostra esistenza non è altro che lo svilupparsi dei nostri primi anni di vita e delle emozioni che abbiamo vissuto in quel periodo, e se per i greci l’arte deriva dalla memoria, noi esprimiamo, anche inconsciamente sempre quel periodo della nostra vita. La memoria, quindi, è quella capacità creativa che rende ciascuno dei noi un essere irriducibile, irripetibile, mai nato prima, originale. La poesia e l’arte, hanno tutti un nutrimento tratto dalla memoria, da ciò che esiste in noi, dall’esperienza dei ricordi, dall’infinità libertà della memoria.
Ed è quello che ci viene subito in mente, ripercorrendo il sentiero espressivo di Amico, osservando aspetti ai confini di quella grande vallata, come Monte Sutera o la minacciosa, inespugnabile, splendida ed imponente rocca Manfredonica, incastonata mirabilmente nell’alta rupe, che sembra aleggi misteriosamente solitaria e dominatrice della valle, simbiosi con la storia di Mussomeli, luogo natale di Amico.
E sono questi luoghi, questi paesaggi, le rimembranze primigenie del nostro artista; un paesaggio oltre descritto, struggente nel ripensarlo: “Incassata in vallone arido e brullo era la miniera, e ricca, una delle più ricche della Sicilia”, così le parole di Petyx nel suo La miniera occupata, che ci dà un’illuminante descrizione dell’ambiente circostante di Montedoro, sito sulla linea d’orizzonte della valle e di fronte alla città del castello.
Un universo umano e paesaggistico contraddittorio: “deserto di fecondità”, è la notazione di Goethe,attraversando la Sicilia interna e quindi parte di terre del latifondo. Sono impressioni incancellabili che accompagneranno per sempre il creativo Amico. E poi altri soggetti isolani: l’umile, sincero, diretto rapporto con i ruderi dell’orchestra del teatro greco-romano di Taormina con sullo sfondo l’Etna; Monte Pellegrino, la Zisa, o i F araglioni di Acitrezza, tutte presenze di un passato glorioso.
Il mito, poi immancabile, avvolgente storia dell’isola è uno dei suo accostamenti più accorati: la siracusana Fonte di Aretusa con il suo papiro autoctono, rappresentata in una dimensione senza tempo. Sono pitture dove l’artista esprime una forte sensibile lirica di soggettività unita ad un profondo, appassionato amore per l’arte.
Conquistato dalla monumentalità della Città eterna, dove vive, egli esplora luoghi, angoli, prospettive, paesaggi archeologici del passato, avvicinandosi timidamente al loro mistero e, incantato, li rivede con cuore antico e con una tecnica innocente senza riferimenti accademici, in figurazioni di oli di paesaggi anche noti con un alone cromatico pallido, quasi trasparente dei colori dei materiali classici di costruzione quale il mattone. Ed egli così ci porta ad una immobilità del tempo, della storia in un classicismo metafisico, con un sentimento panteistico di necessità di comunione con la terra e le cose.
Ci sono poi i richiami di elementi (gli spazi, le colonne, gli archi, le sfere), che interagiscono intuitivamente nello spazio, a De Chirico: assenze umane, prospettive profonde, pieni di
luce e di ombre in un sogno metafisico. Tramonti molto sereni, di silenzi; angoli, scorci figurati; il mare dei soggetti siciliani, luoghi amati come le lande bruciate o altri spazi pieni di
luce di quel sole autentico sovrano dell’Isola, sempre alla ricerca di armonia, sottesa e sofferta.
Il sole che si erge come l’autentico sovrano della Sicilia, il sole violento e sfacciato, il sole narcotizzante che investe la realtà con la violenza trasfigurante e ‘l’arbitrarietà dei
sogni, così Tomasi di Lampedusa. Un ritorno alla madre terra nell’emozione del ricordo
Amico si cimenta anche nella scultura, alla ricerca di un completamento espressivo e ricorre a modelli classici, velata di ispirazione metafisica, come nella tensione eroica corporea della lotta di Ercole o nella delicatezza dei lineamenti affinati delle forme femminili. Sculture di figure in bronzo, statuarie, dove l’artista rappresenta un mito molto caro all’Isola: luogo della comunione dell’uomo con il trascendente, terra degli albori dell’illustre civiltà greca, come qui per Ercole e Venere.
Qui c’è un prepotente bisogno di poesia, una sollecitazione, un accostarsi silente, visto con occhio accorato a luoghi e memorie a cui l’artista rimane ancorato. Ma è il paesaggio il soggetto principe percepito con occhio terragno, in particolare quello dell’interno, il nisseno e l’ennese, contigui.
E ci viene in aiuto, qui per una migliore comprensione, la parola di Aglianò, per nitidezza di immagini e sensibilità impressionistiche, anche per quella ricerca delle sorgenti profonde della nostra vita e innanzitutto per capire il colore locale servito come necessità, in genere dall’artista, e condizione dell’opera d’arte. “Il paesaggio siciliano… dell’interno dell’isola: chilometri e chilometri senza una casa, senza un fiume, senza acque, magari senza alberi con alberi sporadici; e dovunque una solitudine che ammazza, che toglie il respiro. Ma anche nelle zone più sconsolate batte un sole che riempie tutto di sé e trasumana le cose: ciò che altrove sarebbe indifferente, qui è divino perché viene investito in pieno da una luce solidale, chiarificatrice di ogni minima struttura”. Così Sebastiano Aglianò, in Cos’è questa Sicilia.
I luoghi natali e di vita vissuta hanno così una forte centralità nell’opera dell’artista: un attaccamento intramontabile al paesaggio dell’infanzia, ora da lontano più amato con un ritorno ai luoghi della memoria, dove si ripensa all’età dell’innocenza, all’arte della sua nascita e vita con un’attenzione al dettaglio analitico e lirico, alla luce e dell’ampiezza spettacolare. Si nota la insistita componente affettiva di sguardi incantati, unita al senso documentaristico di luoghi significativi e suggestivi dell’Isola, spazi di struggente ricordo.
L’estetica del paesaggio è “un aspetto della metafisica”, dice Assunto, che definisce il paesaggio “spazio limitato, ma aperto, presenza e non rappresentazione, dell’infinito nel finito… finitezza aperta". Quindi, un oltre lo spazio infinito del nostro meditare e una esteticità diffusa oggetto di contemplazione che trova nelle forme dell’immaginazione creativa, l’essenza di una poetica artistica. Nelle opere di Amico c’è, allora, la traccia della diaspora, diffusa o soffusa, di chi è lontano dalla propria terra.
Una memoria indimenticata, senza tempo o luogo di pensamento, che con la forza e la suggestione anche solo emotiva, interiore, aiuta e consola l’uomo, con aumentato amore. Anche se non sempre si può conversare facilmente con i ricordi, perché essi ovunque ci inseguono.
Sebastiano Marino
Caro Francesco, ho conosciuto, posso dire, la tua pittura, prima di conoscerti! La tua pittura leggera quasi in perdita di colore, almeno, della sua intensità, dove è possibile
intravedere il corso del pennello, le striature lasciate dal suo largo passaggio.
Dipinti quietamente, senza direi emozioni e il mondo, lo vedi come un tessuto dalla trama evidente, consumata dal tempo intercorso tra le sue osservazioni del paesaggio e l'esecuzione sulla
tela.
Avendoti conosciuto poi, ho avuto conferma della tua innocenza di fronte al campo della pittura: la tua persona e tutta intera in quelle opere. Gli occhi bene aperti sul mondo, ricevi da
esso sollecitazioni che tu non vuoi elaborare, ma recepisci senza complessi rifermenti a scuole e movimenti, e le trascrivi sfibbrate per il loro farsi immagini sulla superficie.
Ho tentato anche di definire il tuo lavoro: naïf per esempio?
Non credo che sia necessario, se non a rischio di mutilazioni, enunciare per verba il senso della tua pittura. Lasciamola così sospesa, senza etichette, sognata e chiara, come in fondo sei
tu.
Bruno Mantura
Da un secolo ad oggi ci sono stati diversi e contrastanti atteggiamenti con i quali si è cercato di intraprendere il mestiere del pittore; ma specialmente un atteggiamento rispettoso di
umiltà ed uno di volgare arroganza.
Per cominciare l'arroganza di tutti coloro che senza conoscere minimamente la tecnica della pittura, senza saper disegnare, senza aver voluto studiare e con una dose di improntitudine e di
ignoranza si sono messi a produrre sgorbi immotivati e stupidaggini senza senso spacciandoli per arte; e che purtroppo , com'è naturale che sia, oggi sono la maggioranza, proprio in virtù
della difficoltà che fare arte comporta.
E per contro c'è l'atteggiamento di umiltà di tutti coloro che intraprendono il difficilissimo mestiere del pittore, sapendo di doversi confrontare con i grandi geni del passato, in un
momento tragico nel quale non esistono più scuole, né tirocinio né maestri, ce la mettono tutta per rappresentare il mondo com'è o come essi credono che sia.
In assenza di accademie, ove ormai per ignoranza purtroppo spesso si insegna a produrre sgorbi, ma col miglior risultato pratico possibile, molti artisti in erba che si sentono la
"vocazione" sono costretti a fare da autodidatti: cosa difficilissima perché in sostanza bisogna apprendere un mestiere difficilissimo senza neppure l'aiuto di un maestro, di un metodo, di
insegnamento tecnico. Non si può entrare in merito, perché i pittori ormai sono milioni e fortunatamente quelli così detti figurativi sono sempre più rari.
E fra questi l'amico Francesco Amico che con franchezza e amicizia mi ha chiesto di presentarlo.
Nato a Mussomeli (CL) Francesco Amico, si trasferisce a Roma, città che automaticamente ispira gli artisti e nella quale moltissimmi pittori sono stati posseduti, appena
arrivati, dal bisogno irrinunciabile di dipingere il paesaggio romano e tutte le meravigliose bellezze della città.
Francesco Amico si è trovato, dunque, come folgorato al cospetto dei paesaggi archeologici di Roma che costituiscono prevalentemente i temi dei suoi quadri. E che sono dipinti col candore di chi si trova di fronte ad un paesaggio antico, consacrato dalla storia e da tutti gli altri pittori dal Cinquecento ad oggi.
Se ne sente alle spalle la suggestione, che serve da stimolo e da sprone. Non poteva, dunque, non dipingere questi suoi paesaggi con gran candore, scegliendo timidamente le tinte tenui, i cieli trasparenti, le nuances pastello che assumono i paesaggi archeologici, nel colore mattone scolorito degli edifici antichi e in quegli intonaci rossastri che si sono andati stemperando al sole e alla pioggia nel variare delle stagioni. E si sente dunque, il trscorrere del tempo storico e un incanto che spesso sembra perfino fermato la mano del pittore, lasciando quasi incconpiuta la sua opera, forse proprio per non toglire quegli accenni di sincerità che la prima stesura riusciva a dare ai suoi quadri.
Non a caso fra la gran parte dei dipiti romani c'è anche un paesaggio siciliano, anch'esso archeologico, con la visione del teatro greco di Taormina, che fra le pietre della scena lascia intravedere le montagne della Sicilia, una Sicilia della quale Francesco Amico dimostra di non essersi dimenticato, conservandola, gelosamente nel suo cuore.
Bruno Caruso
Misteriose e solari, inondate di luce pura e trasparente, immerse in un'atmosfera immobile e senza tempo, le opere di Francesco Amico sono manifestazioni di una
creatività che si esprime nella quiete di tramonti luminosi dominati da deità indifferenti.
Il tratto è sicuro, il colore è delicato e leggero. La luce sfiora dolcemente gli archi e le colonne, i simulacri e le erme torri. La solitudine pervade memorie antiche, frammenti di culture
diverse, mentre una brezza leggera porta con se odore di mare e aromi di piante silvestri.
La pittura di Francesco Amico è impegnata di una serenità assoluta, insondabile, in un mondo perfetto che ha realizzato ogni sua possibilità. Il cielo è limpido. Le piazze
sono inondate di sole. I ritratti e le nature morte illudono che niente può turbare una pace conquistata per sempre.
La chiarezza della composizione, semplificazione delle strutture, la presenza di prospettive ardite, il senso di mistero e di magia suscitano trepidazioni e incanto.
Classico per eleganza e armonia, Francesco Amico non tradisce ma la sua spontaneità, la gioia per la pittura, il puro diletto del dipingere e del creare.
Francesco Fantechi
Francesco Amico è un artista legato ad opere di grandi dimensioni.
La sua Forza espressiva, generalmente, riesce a plasmare meglio il racconto pittorico sviluppandosi su grandi tele dove tutto si fonde diventando il ricordo.
Sono quadri espressi con larghi toni di luce e colore. Alcuni di questi suoi dipinti ricordano la lezione della Scuola Romana. L'artista Amico, forse inconsciamente, recupera la memoria
della tecnica espressiva di alcuni di questi maestri del novecento.
Egli dipinge le sue tele immerse in colori decisi, raffigurando immagini di scogliere, memorie di paesaggi assolati, visione di un mare quasi scomparso, ricordi di piazze ed angoli di
piccole città o di paesi, di vie silenziose.In queste opere non vi è quasi mai traccia di figure umane, ma, vi aleggia profondamente la presenza dell'uomo e della vita. In numerosi quadri
la testimonianza dell'assoluto del mare è parte integrante del racconto.
Sono scritti pittorici, che Francesco Amico immerge in una dimensione di profonda poesia, avvolgendo, magicamente, il tutto un cromatismo dolce, quasi sensuale.
Sono vedute che riescono a recuperare la memoria dei tempi andati, di quei lontani secoli che sembrano risalire a quell'età aurea dove tutto era pace, bellezza, silenzio e contemplazione.
Un mondo, ormai perso definitivamente, dove la natura, madre, proteggeva i suoi figli.
I suoi dipinti sono descrizioni, vivificate da accenti romantici che trasmettono l'emozione del ricordo o la sensazione di esso; quindi vivificati da tenui, ma decisi colori.
Nelle opere di Amico il paesaggio è intenso come una memoria recuperata nel tempo, che non cade mai in una modesta, per non dire noiosa, narrazione di frettolose istantanee senza luce e
poesia; ma sono narrazioni vere, immerse in un lirismo plastico contemplativo.
Egidio Maria Eleuteri.
La luminosità celestiale di dipinti dona all'animo di chi li osserva grande serenità, gioia e attimi di felicità, cose che solo la pura arte uscita dall'animo del vero pittore può divulgare. Grazie per poter dare tutto ciò con i suoi quadri anche a nome di tutti quelli che ciò avvertono.
Tutti ricerchiamo la serenità nell'animo. I tuoi quadri aiutano sens'altro in tale ricerca. Basta immergere lo sguardo nelle tue fantasie classiche e riempirsi gli occhi dei colori che li compongono.
Il mondo pittorico di Francesco Amico è un mondo classico sognato, d'una sorta di sogno metafisico , che prende spunti dalla realtà per trasfigurarsi in magia. A volte il segno è duro e spigoloso , quasi non riconciliato con la realtà; altrove i contrasti si acchetano in uno stupore arcano, in atmosfere assorte come in un "prelude a-l'apres misì d'un fanne", dove non puuò esservi figra perchè turberebbe lo stato magico del sogno.
Vivissimo apprezzamento per la sua mostra: i solori luminosi di una pittura che unisce il ricordo di uoghi amati alla capacità di trasfigurarli, restano negli occhi,rasserenano il cuore.
I tuoi quadri sono una sinfonia di luci e colori: uno più bello e incantato dell'altro. Rispecchiano l'animo di un vero artista e poeta.